Alcune pagine del Manuale

1. Fatti, atti e negozi giuridici

1. Fatti giuridici e atti umani. - 2. Meri fatti giuridici. - 3. Atti giuridici in senso stretto. - 4. Negozi giuridici.

1. Fatti giuridici e atti umani.
S'è veduto in precedenza come il rapporto giuridico nasce e si modifica in seguito al verificarsi di fattispecie che sono state designate, genericamente, come fatti giuridici. E' il caso di chiarire adesso che la nozione generale di fatto giuridico si articola in 'sottocategorie' in relazione alle caratteristiche specifiche dei diversi 'fatti' giuridicamente rilevanti, e, in particolare, in relazione alla circostanza che si tratti di comportamenti umani o non.
Nella categoria generale del fatto giuridico, si distinguono:

Per ben comprendere tale tradizionale distinzione occorre muovere dalla considerazione che nella sfera intellettiva dell'uomo si distinguono due facoltà: la coscienza e la volontà. La coscienza consiste nella consapevolezza di sé e del mondo esterno, nella capacità di comprendere il rapporto con gli altri e il significato dei propri atti: giuridicamente si designa come capacità di intendere. La volontà va intesa come capacità di autodeterminarsi, di decidere liberamente il proprio comportamento in vista di uno scopo: giuridicamente si definisce capacità di volere.
In mancanza di tali estremi si avrà un atto 'irriflesso', un atto cioè che quasi in nulla si differenzia da un accadimento naturale, da un evento dovuto alle forze della natura. Così, nel demente manca la capacità di intendere il significato delle proprie azioni; nel cleptomane, pur essendovi tale facoltà, è esclusa la capacità di volere, poiché il soggetto non è in grado di resistere ai propri impulsi. Un'azione perciò sarà in senso proprio umana solo se accompagnata da capacità di intendere e da capacità di volere: due estremi, il cui pieno possesso si acquista giuridicamente con la maggiore età (e si parla così di capacità legale), ma che non mancano tuttavia nei minori, sia pure in gradi diversi, in relazione all'età e alla maturità raggiunta (e si parla in tal caso di capacità naturale) (v. § 6.5).
Ebbene, la categoria generale dei fatti giuridici (come insieme degli eventi giuridicamente produttivi di effetti) viene suddistinta in sottocategorie a seconda della rilevanza che in ciascuna di esse assume la coscienza e la volontà dell'agente. Si crea cioè una sequenza ordinata secondo il rilievo che, al fine della produzione degli effetti giuridici, assume la capacità di intendere e di volere del soggetto.
Si ha così un mero fatto (o fatto giuridico in senso stretto) quando tale capacità, vi sia o non vi sia, non assume alcun rilievo, poiché la legge assume un certo evento (determinato da una azione umana o da una forza della natura) come mero presupposto per certi effetti. Ad es., la morte di una persona.
Per aversi invece un atto giuridico, si richiede anzitutto che si tratti di azione dell'uomo e, nel soggetto agente, la capacità naturale di intendere e di volere.
Si avrà infine un (valido) negozio giuridico solo se, fra l'altro, l'autore dell'atto abbia la capacità legale di agire.

2. Meri fatti giuridici.
Con approccio in parte diverso, può dirsi che la legge determina i requisiti perché gli eventi naturali e le azioni umane producano effetti giuridici.
a) A un primo livello, ciò che si richiede è solo la pura fenomenicità di un evento, il mero accadere di un fatto, sia esso determinato dalle forze della natura o da una azione umana: la nascita o la morte di una persona, la "scoperta del tesoro" (art. 926), il ritrovamento di una cosa smarrita (art. 927), la costruzione e la piantagione (art. 934). Tali accadimenti prendono il nome di meri fatti giuridici poiché l'effetto previsto si collega al loro accadere a prescindere dalla circostanza che siano dovuti a forze della natura o ad azione dell'uomo e, in quest'ultimo caso, a prescindere dal fatto che siano stati compiuti con coscienza e volontà o in modo del tutto irriflesso e involontario.
Così, rispetto all'effetto dell'apertura della successione è indifferente che la morte dell'ereditando sia sopravvenuta per causa naturale o per opera di altri uomini; riguardo all'effetto dell'acquisto delle piante al proprietario del suolo, è irrilevante che la semina avvenga ad opera del vento che trasporta i semi o ad opera di un uomo, proprietario o no del fondo (e sia che questi semini il campo intenzionalmente o in via del tutto accidentale, come quando i semi spagliati su un fondo cadono sul terreno confinante).
In tutte tali ipotesi, dunque, ciò che conta è il puro accadere, la fenomenicità di un evento e lo si definisce come mero fatto giuridico (o fatto giuridico in senso stretto).

3. Atti giuridici in senso stretto.
b) A un secondo 'livello', l'ordinamento considera (solo) i comportamenti umani e ciò che si richiede per la produzione degli effetti è la volontarietà del comportamento. Così, l'atto di chi paga un debito, di chi riconosce una persona come proprio figlio naturale, di chi danneggia la cosa altrui, produrrà gli effetti tipicamente previsti dalla legge per tali ipotesi solo se dette azioni sono compiute volontariamente. Più precisamente, si richiede: 1) la volontarietà dell'atto (anche se il soggetto ne ignorava o non ne voleva gli effetti giuridici); 2) quella capacità di intendere e di volere che si è definita come naturale (mancando la quale, come s'è veduto, viene meno la stessa riferibilità dell'atto all'uomo).
In tal caso si parla di atti giuridici in senso stretto, e si distingue poi fra atti leciti e atti illeciti: in entrambe le ipotesi, gli effetti sono ricollegati automaticamente al compimento volontario dell'atto, restando irrilevante che il soggetto non ne abbia voluto le conseguenze materiali o giuridiche.
Pertanto, chi ha effettuato il "riconoscimento" di un figlio naturale ai sensi dell'art. 250 (e cioè dichiari che una certa persona è suo figlio, generato al di fuori del matrimonio), inutilmente protesterà di non averne voluto gli effetti giuridici (obblighi di mantenimento, istruzione, etc.): potrà, se del caso, provare solo la mancanza di volontarietà dell'atto (art. 265). Analogamente, non è possibile impugnare il pagamento a causa della propria incapacità legale (art. 1191): una volta che l'obbligazione sia stata validamente assunta (ad es., tramite il legale rappresentante), l'adempimento è dovuto e l'atto di pagamento validamente compiuto ove sussistesse una naturale capacità di intendere e di volere. Si può solo provare la mancanza di volontarietà di esso (ad es., perché il creditore ha estorto il danaro sotto la minaccia di una pistola).
Quanto agli atti illeciti, anch'essi sono atti giuridici, dando luogo a responsabilità dell'agente. Essi obbligano al risarcimento dei danni ove siano volontari e compiuti da chi abbia una naturale "capacità d'intendere e di volere" (art. 2046): compiuti cioè da chi sia in grado, in relazione all'età e alla maturità, di rendersi conto del disvalore sociale dell'atto che compie. Qui è il caso di evidenziare che la volontarietà richiesta si ferma al compimento dell'atto (ad es., la manovra per parcheggiare l'auto), non richiedendosi anche la volontà delle conseguenze materiali (nella specie, il danneggiamento di altra vettura) e giuridiche (la responsabilità).

4. Negozi giuridici.
c) Per aversi infine un negozio giuridico occorre non solo che l'atto sia voluto, ma altresì che esso sia compiuto da chi ha capacità legale di agire e sia accompagnato dal requisito della intenzionalità, come preordinazione dell'atto a un fine giuridicamente tutelato. Occorre cioè che il soggetto voglia anche gli effetti previsti dalla legge; se tale volontà manca, gli effetti non si produrranno pur in presenza di un atto che, formalmente, appartiene alla categoria del 'negozio'.
Così, se dichiaro di rinunciare a un diritto, in tanto si produrrà l'effetto abdicativo proprio del negozio in quanto io realmente voglia tale effetto; non si produrrà invece se la dichiarazione è frutto di errore (ad es., perché ignoro le conseguenze legali dell'atto oppure perché emetto la dichiarazione in una lingua che conosco male, equivocando sul significato dei termini). Analogamente, se Tizio e Caio stipulano una compravendita, ma in realtà il loro intendimento è quello di realizzare una donazione, gli effetti che si produrranno saranno quelli del contratto realmente voluto (e perciò il donatario, ad es., non dovrà pagare il prezzo che figura nell'atto).
Per meglio comprendere tali profili va considerato che il 'negozio' è lo strumento che la legge offre ai privati affinché ciascuno dia ai propri interessi l'assetto che ritiene più congruo. In altre parole, il negozio è atto di autonomia, cioè di disposizione della propria sfera giuridica; è strumento attraverso il quale ciascuno realizza l'assetto dei propri interessi, personali e patrimoniali, che ritiene a sé più confacente. E' tramite l'autonomia privata, ad es., che ciascuno può decidere dove stabilire la propria residenza, se e con chi contrarre matrimonio, se assumere un certo lavoro, prendere in locazione un bene o accettare una eredità, esercitare o no un diritto che gli compete, e così via. Ed è poi tramite atti che si inquadrano nella categoria dei negozi che si porranno in essere le singole scelte con effetti giuridicamente rilevanti (e, per lo più, vincolanti anche per lo stesso soggetto ove siano coinvolti diritti di terzi: v. § 30.1): atto di matrimonio, contratto di lavoro o di locazione, dichiarazione di accettazione dell'eredità e così via.
Si comprende pertanto, considerata la funzione propria dell'atto e la ragione per la quale viene riconosciuto dalla legge, come esso in tanto produrrà gli effetti ad esso propri in quanto sia voluto da un soggetto che abbia la relativa capacità legale per compierlo (sul punto, v. più ampiamente § 6.5).